.La Sicilia, dentro e fuori

Texto: Jesús Jurío Marín

Invito a visitere un’isola, tutto un continente

Saranno alcuni popoli del Mediterraneo particolarmente proclivi a tenersi dentro, con zelo, il meglio di sé stessi e ad esternare ciò che non gli piace?
Detto in un altro modo: sarà che il disordine che spesso li circonda rende più belli i tesori interni di questi siculi anneriti, così come i loro denti bianchi risultano più bianchi nel contrasto delle loro facce scure?
Sì, è vero che ci sono le bellezze naturali della straordinaria geografia, dura e mite in un contrasto palese tra vulcani e fiori, tra zolfo e fiori d’arancio, tra siccità e fertilità. E che ci sono pure le espressioni del genio degli uomini che per trenta secoli hanno popolato questa terra generosa e avara: templi, teatri, palazzi, pupi, dolci, gelati, frutte e verdure, pasta, pesci e formaggi...

Ma perché ci sono allora quelle strade dissestate, quelle autostrade che finiscono nel nulla, quei palazzi abbandonati che ci possono crollare addosso nelle vie più centriche e storiche di Palermo, tutta la decadenza, tutta l’incuranza che pullula per le città e le loro periferie?
Si direbbe che la dimensione pubblica è nemica della dimensione personale. Privatamente, nell’ambito famigliare, nei rapporti diretti i siciliani risultano vicini, caldi, aperti, generosi e disponibili, e pure eleganti, dignitosi, onesti.

Ma quando c’è di mezzo la Norma (non certo quella di Bellini), lo Stato, la Legge e le loro presenze concrete, ecco che davanti agli occhi dei siciliani si mostra, palese, il nemico: il segnale del traffico, il casco, le cinture di sicurezza, le strisce sul pavimento o le isole pedonali sono ostacoli che non gli permettono di vivere in santa pace, sono trappole, tranelli, noie.
Nella guida in macchina, per esempio, vige il rapporto tra i conducenti: ora passo io/ora passi tu, in un susseguirsi di regole non scritte, che non vengono dall’alto, ma dall’ambito del rapporto personale. Se sono una persona egoista e prepotente passerò io per primo, o forse, se oggi mi va sarò condiscendente. Se sono di carattere umile o generoso darò la precedenza a chiunque finché quelli di dietro nella strada non mi tempesteranno di colpi di claxon.

Terra di contrasti, dove si preferisce chiaramente la dimensione personale. Dentro è bello, come nei giardini arabi o i cortili di Córdoba. Fuori c’è il caldo, la polvere, la terra del latifondista che veramente non viene sentita come propria.
Sono amici degli amici, sono gentili a quattrocchi, pure con te, che non conoscono, quando gli stai davanti. Ma se guidi un automezzo o pretendi di avere un diritto qualunque, allora la cosa cambia, sei investito di codice della strada o di altre ragioni che non gli va affatto di accettare.
In un posto come questo non si deve chiedere giustizia, perché non esiste. La legge è fatta di catene e lo Stato, la Regione, ecc. sono solo degli sfruttatori. Dello Stato bisogna servirsene, non bisogna servirlo. E questo vale anche per le leggi.
Questa è in parte la sensazione che mi è rimasta le due volte che sono stato in Sicilia. È chiaro che la cosa sta cambiando, ma credo che ci vorrà del tempo prima che la fiducia nei governanti porti al ri-
spetto di una legge che dovrebbe essere utile (e non solo uguale) per tutti. Solo se cambiano i governanti cambierà l’isola.

Infine, ecco l’opinione di Sciascia, uno dei massimi studiosi dell’anima siciliana, a proposito della mafia e lo stato: "Ma la mafia era, ed è, altra cosa: un sistema che in Sicilia contiene e muove interessi economici e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel vuoto dello Stato (cioè quando lo Stato, con le sue leggi e le sue funzioni, è debole o manca) ma dentro lo Stato. La mafia insomma altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma soltanto sfrutta"
Comunque la Sicilia resta indispensabile. Andateci, poi ci tornerete.